domenica 29 giugno 2014

Empatia.

E' quasi un mese che non scrivo. Non ho tempo, non ho voglia, non ho concentrazione, insomma, sti esami mi stanno distruggendo. Oggi però ho riflettuto a lungo su alcune situazioni presenti e passate e sulla mia tendenza a cercare di comprendere, quel mio mettermi sempre nei panni degli altri, grande qualità, diranno alcuni, grande rottura di coglioni, dico io.

L'empatia è un'arma a doppio taglio, lo diventa soprattutto quando comprendi che tutto questo sforzo e tutta la sofferenza altrui che vivi sotto la tua pelle non è ricambiata.

E non capisco se ciò sia voluto o no. Se amo qualcuno non solo sono contagiata dalle sue gioie e dai suoi dolori, così in modo spontaneo, ma cerco anche di arrivare a quella sintonia, cerco di decifrare il codice che si cela dietro un'emozione e un atteggiamento. Ha agito così per questo motivo.
Fino a che punto essere empatici è una qualità intrinseca di noi stessi, figlia di una grande sensibilità, e in che misura è invece il frutto di maturità, di ricerca di comprensione?

Mentre cerco di rispondere a questa grande questione, rileggo le pagine di uno dei miei tanti libri abbandonati a metà, quelli che "sì, poi lo finisco quando ho la mente libera". Non ricordo nemmeno a che pagina arrivai, ma questo passaggio de L'insostenibile leggerezza dell'essere mi è rimasto impresso:

"Tutte le lingue che derivano dal latino formano la parola compassione col prefisso “com-” e la radice passio che significa originariamente “sofferenza”.

In altre lingue, ad esempio in ceco, in polacco, in tedesco, in svedese, questa parola viene tradotta con un sostantivo composto da un prefisso con lo stesso significato seguito dalla parola “sentimento” (in ceco: soucit; in polacco: wspol-czucie; in tedesco: Mit-gefuhl; in svedese: med-kansla).

Nelle lingue derivate dal latino, la parola compassione significa: non possiamo guardare con indifferenza le sofferenze altrui; oppure: partecipiamo al dolore di chi soffre. Un’altra parola dal significato quasi identico, pietà (in inglese pity, francese pitiè, ecc) suggerisce persino una sorta di indulgenza verso colui che soffre. Aver pietà di una donna significa che siamo superiori a quella donna, che ci chiniamo, ci abbassiamo al suo livello.
E’ per questo che la parola compassione generalmente ispira diffidenza; designa un sentimento ritenuto mediocre, di second’ordine, che che non ha molto a che vedere con l’amore. Amare qualcuno per compassione significa non amarlo veramente.

Nelle lingue che formano la parola compassione non dalla radice “sofferenza” (passio) bensì dal sostantivo “sentimento”, la parola viene usata con un significato quasi identico, ma non si può dire che indichi un sentimento cattivo o mediocre.
La forza nascosta della sua etimologia bagna la parola di una luce diversa e le dà un senso più ampio: avere compassione (co-sentimento) significa vivere insieme a lui qualsiasi altro sentimento: gioia, angoscia, felicità, dolore.
Questa compassione (nel senso di soucit, wspòlczucie, Mit-gefuhl, medkansla) designa quindi la capacità massima di immaginazione affettiva, l’arte della telepatia delle emozioni. Nella gerarchia dei sentimenti è il sentimento supremo
".[...]


Il co-sentimento, l'empatia, en-pathos, che parola magnifica. Eppure continuo a trovare molta più compassione, co-sofferenza, negli occhi della gente e sempre meno co-sentimento nello sguardo di chi si ama...

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